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Sanzioni ed elezioni

La campagna elettorale ha cavalcato ampiamente il tema delle sanzioni: c’è chi ha detto che funzionano e chi no. Ma qual’è la verità?

Poiché i risultati delle sanzioni non sono stati immediati, e in ogni caso non sono stati così evidenti, qualcuno ha cominciato a negarli.
Ultimamente è stato un tema molto dibattuto, in particolare in vista delle elezioni italiane, cercando di portare gli indecisi al di qua o al di là della bilancia.

Le sanzioni quindi non servirebbero a niente… ma siamo sicuri?

 

I tre tipi di sanzioni verso la Russia

Ricapitolando, i sette pacchetti di sanzioni che l’Occidente ha imposto alla Russia – a cui si aggiungono quelli del 2014, subito dopo l’invasione della Crimea, – sono stati sostanzialmente di tre tipi:

1) Le sanzioni contro specifici individui (ad oggi più di 1200), ovvero i membri dell’élite russa e del governo – i cosiddetti oligarchi, – come il congelamento delle finanze e il divieto a viaggiare.

2) Le sanzioni commerciali, sia import che export; significative nell’ottica di porre fine alla guerra sono quelle che riguardano il divieto di esportazione di varie tecnologie – ad esempio quelle per raffinare il petrolio, software e microprocessori – che impediscono all’esercito russo di modernizzarsi. In più, per il 2023 è previsto l’embargo sul petrolio.

3) Le sanzioni finanziarie, comprendenti sia le restrizioni sui movimenti di capitale, sia il blocco del sistema SWIFT che ha escluso le dieci principali banche russe dalla gestione delle transazioni internazionali.

 

Perché le sanzioni non sembrano funzionare

Analizzando i risultati ottenuti, oggi possiamo dire che le prime sanzioni non hanno avuto grande efficacia nel breve periodo.

Per quanto riguarda il secondo e il terzo tipo di sanzioni – rispettivamente quelle commerciali e quelle finanziarie, che viaggiano a braccetto – non hanno portato ancora i risultati sperati, e cioè non hanno fatto collassare la leadership putiniana.

Se ciò fosse avvenuto, sarebbe terminata la guerra in Ucraina e così anche gli effetti sull’Occidente, dalla crisi energetica all’inflazione. Effetti di cui invece i nostri cittadini e le nostre imprese risentono, e di cui i nostri politici si sono serviti per portare acqua al proprio mulino in vista delle elezioni del 25 settembre.

Il collasso, insomma, non è ancora arrivato.
Da un lato, la Banca centrale russa è riuscita abilmente a gestire una forte crescita dei tassi e a domare quindi l’inflazione, bloccando i movimenti e le fughe di capitali, e gestendo gli afflussi di valuta occidentale per l’acquisto di gas e petrolio.

Dall’altro, bisogna valutare la resistenza dei cittadini russi, che in passato sono sopravvissuti più di una volta a crisi come questa, e sono peraltro abituati a vivere di sacrifici sottostando ai dettami del regime.

Il rublo pare addirittura che si stia rafforzando, anche se secondo molti analisti si tratta di andamenti pilotati dal Cremlino.

C’è anche da dire che, se i dati non parlano di crisi è perché sono stati parzialmente censurati dalla Banca centrale russa e dall’agenzia di statistica di stato (la Rosstat), che sono responsabili della loro pubblicazione.

E comunque, parliamoci chiaro: se l’obiettivo dell’Europa era davvero quello di far collassare l’economia russa avrebbe dovuto smettere di acquistare dalla Russia gas e petrolio. Ma probabilmente non eravamo pronti per farlo: non c’erano le alternative che ora stiamo trovando.

 

Perché le sanzioni sembrano funzionare

Insomma, l’economia russa tiene, e in generale non possiamo essere certi delle fonti che ne danno testimonianza.
Tuttavia ci sono molti segnali sul fatto che qualcosa si sta smuovendo, o meglio che le sanzioni hanno cominciato a fare effetto.

Innanzitutto, la drastica diminuzione degli investimenti occidentali in Russia non è ancora stata stimata ma non è certo irrilevante. Parliamo di quelli sull’energia ma anche di altri settori.
Eclatante è il caso di McDonald’s che ha chiuso i 850 fast-food poiché i valori del brand non sono compatibili con l’attività nel paese russo.

La Rosstat registra un calo industriale generale dello 0,5% rispetto al 2021: una percentuale esigua che però va guardata alla luce della propaganda di Putin, e commisurata in ogni caso a quelle individuali.
Il settore alimentare e quello automobilistico russo infatti sono calati rispettivamente del 3,6 e del 60%.

È vero che sono in aumento i settori farmaceutico e siderurgico, ma è anche vero che la Russia, proprio a causa delle sanzioni sulle importazioni, è ora costretta a comprare armi dalla Corea del Nord.

In generale, le aziende russe che avevano legami con l’Occidente sono in crisi perché non possono più importare materie prime, né vedere le proprie merci.

Per quanto riguarda il PIL russo, bisogna fare un raffronto tra diversi dati.
Per il Consiglio europeo sulle sanzioni dovrebbe calare dell’11%; per il portavoce del governo russo Dmitry Peskov, del 2,9%; per il Fondo monetario internazionale, del 6%. Probabilmente l’ultima è la stima che si avvicina di più a quella reale.
Senza dubbio, comunque, il prodotto interno lordo russo del 2023 è previsto con un segno meno: lo hanno previsto gli stessi vertici russi, compresa la governatrice della Banca Centrale Russa Elvira Nabiullina, che si è detta molto preoccupata per la salute economica del suo paese.

Un altro punto che ci porta a far credere che le sanzioni stanno facendo effetto è che non sembra facile per la Russia sostituire i paesi occidentali come partner commerciali.
La Cina e l’India possono comprare tutto il gas e il petrolio possibili ma non ci sono le infrastrutture per trasportarli, e soprattutto la domanda non è così alta. La Corea del Nord, così come altri paesi, possono fornire alla Russia nuove armi, eppure pare che non siano sufficienti, né all’altezza della tecnologia occidentale.

 

Sanzioni, elezioni e conclusioni

 

Siamo nel bel mezzo di una crisi economico-finanziaria causata dalla guerra in Ucraina e prima ancora dalla pandemia.
Probabilmente è vero che in parte le sanzioni alla Russia stanno avendo su di noi un effetto boomerang, però è vero anche che fa parte della propaganda russa – e dei politici italiani che la rimasticano – farci credere che non stiano funzionando.

Insomma, cosa dobbiamo fare?
Uno, rimanere informati. Due, non dimenticarci che nel 2022, nella nostra cara vecchia Europa, un paese ne ha invaso un altro uccidendo migliaia di persone: i nostri vicini di casa.
Se non vogliamo intervenire con le armi e i nostri soldati bisogna solo aspettare che la guerra delle sanzioni faccia effetto. Ci siamo quasi.